Senza dirlo, il Cagliari (società) ci sperava perché la consapevolezza di avere al fianco la gente ha un valore inestimabile. Neanche due minuti dal primo giro di campo, e in rete sono finite le prime fotografie dei rossoblù vecchi (quasi tutti rispetto alla passata stagione) e nuovi (ovvero il greco Oikonomou che di sicuro a giorni si vedrà chiamare Iko o Mou per intuibili ragioni di comodità linguistica e grafica). Dunque, entusiasmo, curiosità, soprattutto voglia di essere vicini alla squadra: una esigenza che, oggi, non si sa se e quanto i tifosi potranno appagare, durante la stagione.
Questo perché il Cagliari costretto a smontare lo stadio di Is Arenas, fra i coccodrillici rimpianti quartesi, vuole o vorrebbe tornare al Sant'Elia. Ma in quell'impianto dove si fatica a trovare una cosa non in degrado, occorrono grossi lavori per complessità, per costi e per tempi. I costi è pronto il Cagliari a sostenerli. I tempi dipendono da un ok che se non arriva dal padrone di casa, il comune di Cagliari, non possono iniziare.
Il sindaco Massimo Zedda qualche settimana fa ha dichiarato la sua disponibilità non soltanto per riaccogliere il Cagliari nel breve periodo, ma ha manifestato una volontà - mai esposta prima - di parlare anche del futuro con l'unico interlocutore possibile, cioè il Cagliari calcio. Da qui si può, o meglio si dovrebbe, partire: ma fate presto, per favore.
La squadra che non ha una casa, per ora, ha comunque tanti sostenitori innamorati. E che piaccia o no, rappresenta una regione. Una volta almeno, che si pensi a alla gente, ai sardi: ne hanno diritto.
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